17 Feb 2021

Apprendimento sociale e autoefficacia

di Dalila Manti


Cosa si intende per apprendimento?

I comportamenti vengono acquisiti grazie a procedure di apprendimento inteso come una modificazione comportamentale che deriva da un’interazione con l’ambiente.

L’apprendimento è il risultato di esperienze che portano alla nascita di nuove configurazioni di risposta agli stimoli esterni

Melli et al., 2015

Esso permette di acquisire nuove conoscenze e rappresenta, in sostanza, il modo in cui la persona reagisce all’ambiente.

La teoria dell’apprendimento sociale

Le teorie dell’apprendimento studiano il modo in cui si acquisiscono e si modificano i comportamenti studiandone anche le cause.

I primi studi sull’apprendimento sociale furono condotti negli anni ’60 da Albert Bandura che analizzò il modo in cui i comportamenti vengono appresi grazie all’osservazione delle azioni altrui.
Questo tipo di apprendimento è spontaneo e diffuso in natura e ha una funzione evolutiva in quanto garantisce la sopravvivenza.

Col termine modeling (modellamento) s’intende un processo in cui l’osservatore guarda il comportamento di un’altra persona che funge appunto da “modello” e che influenza il comportamento dell’altro.
Questa forma di apprendimento è di natura sociale in quanto avviene all’interno di un episodio di interazione interpersonale, in vivo o simbolico (Galeazzi et al., 2004).

Nel 1961 Bandura condusse l’esperimento della “Bambola Bobo” atto a dimostrare come i bambini imparano tramite l’osservazione del comportamento di un adulto.
Durante l’esperimento un gruppo di bambini osservava uno sperimentatore picchiare la bambola, un altro vedeva un’interazione tranquilla e il terzo gruppo non assisteva ad alcuna dinamica ludica.
Lo studioso osservò come i bambini precedentemente esposti all’aggressività tendevano a riproporre le stesse dinamiche violente sulla bambola.
Dimostrò, allora, la tendenza di un bambino a imitare il comportamento di un modello adulto reiterando azioni aggressive fornite dall’ambiente sociale.

Le caratteristiche dell’apprendimento sociale

L’apprendimento sociale o osservativo è composto da due fasi:

  1. La fase di acquisizione
    Nella quale la persona osserva il comportamento del modello
  2. La fase operativa
    In cui l’osservatore emette l’azione ed è motivato a riproporla in futuro.

È possibile apprendere da tre tipi di modelli:

  • Da un modello diretto cioè da una persona fisica;
  • Da un resoconto verbale;
  • Da un modello simbolico come ad esempio un personaggio di un film.

L’apprendimento sociale, inoltre, presenta alcune caratteristiche (Melli et al.,2013):

  • il modello deve essere il più adatto possibile al soggetto per età, sesso, contesto socio-culturale;
  • il modello deve essere oggetto di stima, affetto e ammirazione;
  • occorre mostrare al soggetto il comportamento e i suoi effetti;
  • occorre avere a disposizione più di un modello per uno stesso individuo;
  • e abbinare regole esplicite al comportamento del modello mostrato.

Apprendimento sociale come strategia terapeutica

Il modeling è una strategia volta a ridurre o eliminare ansie, fobie e comportamenti di evitamento.
La persona è esposta a uno o più modelli che affrontano una situazione temuta senza subire conseguenze negative.
In questo modo la capacità di una situazione di suscitare timore verrà ridotta e la persona sarà più predisposta ad affrontarla (Melamed et al., 1996).

In un esperimento Bandura e colleghi (1967)  esposero alcuni bambini in età prescolare con fobia dei cani al modello di un coetaneo che non li temeva, anzi esibiva un’interazione gioiosa con gli stessi.
Si riscontrò, allora, nei bambini spaventati dall’animale una riduzione dei comportamenti di evitamento verso i cani in misura maggiore rispetto ai bambini non esposti a tale situazione (Melamed et al., 1996).

Il modeling gioca anche un ruolo importante nella relazione terapeutica perché il clinico può fungere da modello mostrando al paziente un insieme di comportamenti adeguati da assumere nelle situazioni temute ed evitate dallo stesso.

Il concetto di autoefficacia

La teoria social-cognitiva di Bandura (1999) studia i processi di autoregolazione vale a dire la capacità dell’uomo di organizzare i comportamenti utili all’interazione con gli altri e rispondenti alle richieste ambientali, la capacità di apprendere e adattarsi al contesto e l’abilità a inibire o gestire risposte non opportune.

Lo studioso definisce la persona come un essere pensante in grado di considerarsi responsabile delle sue azioni e degli eventi che gli accadono.
Essere un agente attivo permette di effettuare scelte ponderate e funzionali in ambito affettivo, formativo e professionale, adattando flessibilmente le strategie cognitive ed emotive al raggiungimento di un obiettivo.
È all’interno di questa cornice teorica che egli spiega il concetto di autoefficacia intesa come la valutazione personale della possibilità di riuscita di un compito che dipende dall’esperienza passata, dalle aspettative e dall’attribuzione di causalità. L’autoefficacia non è una generale fiducia in sé bensì un concetto dipendente anche dalle variabili in gioco e dal contesto.

Essa influenza la scelta di un’attività, la pianificazione di un’azione e la perseverazione ed è il fondamento delle motivazioni umane, del benessere e della realizzazione personale.

Un soggetto con alta autoefficacia riesce a prevedere le sue azioni poiché è consapevole delle sue risorse e limiti

Bandura et al.,1996

Il concetto di autoefficacia è composto da quattro fattori:

  1. Motivazionali: la credenza circa la propria autoefficacia influenza la motivazione;
  2. Cognitivi che si riferiscono alle risorse attentive, alle capacità organizzative e di problem solving;
  3. Affettivi: il livello di percezione della propria autoefficacia permette alla persona di affrontare adeguatamente l’attivazione emotiva e tollerare le emozioni negative che insorgono;
  4. Selettivi che interessano la capacità di creare un ambiente favorevole al raggiungimento degli obiettivi tramite la selezione di informazioni in accordo con le risorse percepite.

Conclusioni

L’autoefficacia è parte costituente dell’autostima, essi sono due costrutti in interazione.

L’autostima è il giudizio globale che la persona ha di sé, è il valore che ognuno si attribuisce mentre l’autoefficacia è la percezione circa le proprie capacità di svolgere degli step utili al raggiungimento di un compito.
Un alto livello di entrambi i costrutti porterà la persona a percepire il proprio valore sentendosi all’altezza per esempio di affrontare un compito, di parlare in pubblico, di sostenere un colloquio di lavoro, al contrario bassi livelli di autostima e autoefficacia influenzano negativamente le credenze su di sé.
Si svilupperà l’idea di valore poco e di essere meno degli altri.
Se il livello di autoefficacia è basso probabilmente la persona svilupperà comportamenti di evitamento che potrebbero sfociare in stati fobici, depressivi e maggiore vulnerabilità allo stress.

L’autoefficacia diventa un buon predittore di una futura performance in quanto è grazie a essa che la persona sceglie di regolare il suo comportamento ben dotata di motivazione personale.

Bibliografia

Bandura A. (1977). Self-efficacy: toward a unifying theory of behavioral change. Psychological Review 84,2, 191-215.

Bandura A., Caprara G., Barbaranelli C. & Pastorelli C., (1996). Mechanisms of moral disengagment in the exercise of moral agency. Journal of Personality and Social Psychology, 71, 364-374

Bandura A. (1999). Moral disengagement in the perpetration of inhumanities. Personality and Social Psychology Review, 3, 193-209

Bandura A., Caprara G., Barbaranelli C., Pastorelli C. & Regalia C., (2001). Sociocognitive self-regulatory mechanisms governing transgressive behavior. Journal of Personality and Social Psychology, 80, 125-135

Bandura A., Caprara G. & Regalia C., (2002). Longitudinal impact of perceived self-regulatory efficacy on violent conduct. European Psychology, 7, 63-69

Belelli G. & Gasparre A., (2009). Emozioni morali e processi cognitivi: vergogna e colpa nelle esperienze quotidiane e traumatiche. Cognitivismo clinico, 6, 141-160

Galeazzi A. & Meazzini P. (2004). Mente e comportamento. Trattato italiano di psicoterapia cognitivo-comportamentale. Firenze, Giunti

Melamed B.G. & Siegel L.J. (1996). Medicina comportamentale. Raffaello Cortina Editore

Melli G. & Sica C. (2015). Fondamenti di psicologia e psicoterapia cognitivo comportamentale. Modelli clinici e tecniche d’intervento. Scienze cognitive e psicoterapia, Eclipsi

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