di Alice Montanaro
I disturbi del comportamento alimentare (DCA)
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) possono essere definiti come disturbi persistenti a carico di processi di alimentazione e nutrizione e/o di comportamenti finalizzati al controllo del peso corporeo, che danneggiano in modo significativo la salute fisica e il funzionamento psicosociale dell’individuo e che non sono secondari a una condizione medica generale o ad altri disturbi psichiatrici (Fairburn & Walsh, 2002)
Nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-5; APA, 2015), oltre all’anoressia nervosa (AN) e alla bulimia nervosa (BN), che sono i disturbi maggiormente conosciuti e studiati, sono stati inseriti altri disturbi alimentari: pica (persistente ingestione di contenuti non commestibili); disturbo da ruminazione (ripetuto rigurgito di cibo); disturbo evitante/restrittivo dell’alimentazione (persistente incapacità di soddisfare le richieste nutrizionali); binge eating disorder (disturbo da abbuffate).
Il DSM-5 contiene anche disturbi dell’alimentazione e nutrizione con altra specificazione (es. sindrome di alimentazione notturna) o disturbi del comportamento alimentare senza specificazione, che invece non soddisfano pienamente i criteri diagnostici dei disturbi di cui sopra.
In questa sede, sono approfondite le manifestazioni cliniche e le tipologie di intervento relative esclusivamente all’anoressia nervosa. Per ulteriori approfondimenti sugli altri DCA si rimanda ad altre sedi (es. Mancuso et al., 2015).
Anoressia nervosa (AN): criteri diagnostici e caratteristiche cliniche
L’anoressia nervosa, letteralmente “nervosa perdita di appetito”, fu per la prima volta descritta dall’inglese William Gull e dal francese Ernest-Charles Lasegue negli anni ’70 dell’800, i quali ritenevano che la caratteristica principale dell’AN fosse la diminuzione del senso di fame (Klein & Walsh, 2004).
Solo successivamente (vd. paragrafo – Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale nell’Anoressia Nervosa), grazie alla maggiore attenzione clinica e di ricerca, è stato compreso come in realtà l’anoressia nervosa non possa essere definita come un semplice disturbo della perdita di appetito e come quest’ultimo non rappresenti altro che la facciata piuttosto che la caratteristica centrale del disturbo.
Per quanto concerne la diagnosi di Anoressia nervosa, ad oggi il manuale di riferimento maggiormente impiegato è il DSM-5. Secondo quest’ultimo, tre sarebbero i criteri diagnostici più importanti:
- Restrizione nell’assunzione di calorie che porta a un peso significativamente basso rispetto a quello previsto per età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica
- Intensa paura di aumentare di peso o messa in atto di comportamenti finalizzati a perdere/non aumentare di peso
- Alterazione del modo in cui viene vissuto il peso corporeo al punto tale che quest’ultimo influenza la valutazione globale che l’individuo effettua di sé e degli altri
A differenza di quanto accadeva nella versione precedente del manuale (DSM IV-TR), nel DSM 5 non è più richiesta la presenza di amenorrea (assenza del ciclo mestruale, cosa che permette di effettuare diagnosi anche negli uomini).
L’anoressia nervosa insorge comunemente durante l’adolescenza, ma non è da escludere un esordio durante l’infanzia o l’età adulta.
È più diffusa nel sesso femminile, sebbene negli ultimi anni sia aumentata la sua incidenza anche nella popolazione di sesso maschile (Crisp et al., 2006).
Il tasso grezzo di mortalità (TGM) è di circa il 5%, dovuto principalmente a denutrizione o suicidio.
In effetti, l’anoressia nervosa rappresenta il disturbo psichiatrico a maggior rischio di suicidio (Bulik et al., 2008), con 12/100.00 individui che attentano alla loro vita ogni anno.
È per tale ragione che una diagnosi precoce, seguita da un intervento tempestivo ed efficace, rappresenta la strategia migliore per il trattamento di un disturbo la cui prognosi è spesso infausta a causa della scarsa compliance e delle molteplici ricadute.
Fattori predisponenti, scatenanti e di mantenimento nell’anoressia nervosa (AN)
L’anoressia nervosa, come gli altri disturbi del comportamento alimentare, sarebbe dovuta all’interazione tra vulnerabilità genetica (alcuni loci genici sono ritenuti coinvolti) e fattori ambientali (es. situazione socio-economica, rapporti con i pari, famiglia, ecc.).
A questi fattori predisponenti si sommerebbero fattori scatenanti e di mantenimento che porterebbero a perpetuare il comportamento e che lo psicoterapeuta si pone lo scopo di individuare al fine di rompere il “circolo vizioso” che mantiene la malattia (Cuzzolaro, 2004).
- FATTORI PREDISPONENTI
- Fattori genetici:
è stato osservato come il rischio di sviluppare la malattia sia maggiore nei parenti di primo grado di un individuo che soffre di DCA; inoltre i tassi di anoressia nervosa tra gemelli monozigoti sono significativamente più elevati rispetto a quelli dei gemelli dizigoti, il che implica che specifici geni siano coinvolti. Ad esempio, sono state evidenziate anomalie a carico dei cromosomi 2, 10 e 19 (per maggiori informazioni, vd. Hinney et al., 2017). - Fattori temperamentali e comorbilità psichiatriche:
è stato osservato che gli individui con tratti ossessivi di personalità, perfezionismo patologico, bassa autostima e con disturbi d’ansia/dell’umore hanno un maggior rischio di sviluppare un DCA come l’anoressia nervosa (es. Grzelak et al., 2016). - Caratteristiche familiari:
famiglie ostili, con madri invadenti e padri disimpegnati, con scarsa capacità di condivisione emotiva e con tendenza al controllo, possono rappresentare un “terreno fertile” per lo sviluppo dell’anoressia nervosa (Minuchin et al., 1978). - Contesto socio-culturale:
nelle società occidentali, in cui l’ideale della magrezza (magro come sinonimo di bello) è più diffuso, il rischio di sviluppare anoressia nervosa è significativamente superiore, dal momento che in tali ambienti gli individui potrebbero “apprendere” che solo avendo un corpo magro possono essere considerati attraenti e di maggiore successo nella vita (Cazzato et al., 2014).
- Fattori genetici:
- FATTORI SCATENANTI
- Diete troppo restrittive,
- Cambiamenti di vita importanti (es. trasloco, distacco dalla famiglia),
- Eventi traumatici (es. rottura di una relazione)
- Lutti
Possono scatenare l’insorgere del disturbo in persone con una predisposizione di base (Ostuzzi & Luzardi, 2003).
- FATTORI DI MANTENIMENTO
Alcuni tipi di sport (es. fitness e bodybuilding; Hajihasani, 2018) e di lavoro (es. moda; Harmon et al., 2016) così come le risposte da parte del gruppo dei pari e della famiglia possono contribuire al perpetuarsi di condotte alimentari inadeguate.
È bene precisare, infatti, che gli individui con DCA possono ottenere dei veri e propri vantaggi secondari dal mantenimento della malattia, come ad esempio la ricezione di attenzioni da parte del nucleo familiare (Treasure et al., 2011).
Trattamento dell’anoressia nervosa (AN)
Il trattamento dell’anoressia nervosa è multidisciplinare; se possibile, esso comprende non solo un percorso terapeutico individuale, ma anche una psicoterapia familiare, a cui si associano, se necessario, terapie farmacologiche e interventi nutrizionali.
Secondo le linee guida NICE sul trattamento dei DCA (National Institute for Clinical Excellence, 2017), la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) rappresenta il gold standard tra gli interventi di tipo non farmacologico. Nessun altro orientamento terapeutico ha infatti ad oggi dimostrato gli stessi effetti sia nel breve che nel lungo termine, che siano misurabili oggettivamente e che risultino statisticamente significativi (Hay et al., 2015)
Di seguito, sono approfondite le tecniche cognitivo-comportamentali nel trattamento dell’anoressia nervosa.
La psicoterapia cognitivo-comportamente (CBT)
La psicoterapia cognitivo comportamentale, in inglese Cognitive Behavioural Therapy (CBT), è oggi largamente diffusa e considerata una delle modalità di trattamento d’élite in quanto “evidence-based medicine”, cioè ritenuta efficace da studi scientifici di ordine internazionale (NICE, 2017).
La psicoterapia cognitivo-comportamente (CBT) nel trattamento dell’anoressia nervosa:
“se sarà magro, sarò speciale”
Dall’analisi dei pensieri automatici al cambiamento delle credenze di base
La psicoterapia cognitivo comportamentale, nel trattamento dell’anoressia nervosa (AN), si basa sull’assunto che quest’ultima sia alimentata da idee disfunzionali nei confronti del peso e della immagine corporea, per cui gli individui con tale disturbo sarebbero caratterizzati dalla credenza che raggiungere la magrezza potrebbe migliorare la loro autostima, il loro rapporto con gli altri e il loro successo nella vita.
In altri termini, in alcuni pazienti, le credenze relative alla magrezza (ideale di bellezza) si sovrapporrebbero a quelle relative alla fiducia in se stessi (vd. paragrafo sui fattori predisponenti), al punto tale da sviluppare pensieri dicotomici irrazionali (tutto – o – nulla) come “se sarò magro, sarò speciale”, “se non riesco a controllare il mio peso, sono un buono a nulla”, “se non sono mi si vedono le ossa, allora sono grasso”.
Ne deriva che, mentre la gran parte delle persone valuta se stessa in modo flessibile sulla base di diversi domini della vita (lavoro, hobby, vita sentimentale, immagine corporea, ecc.), tali individui giudicano se stessi esclusivamente o in gran parte sulla base della loro forma fisica.
Ovviamente, non in tutti coloro che soffrono di DCA, la dottrina culturale atta a glorificare la magrezza ha un peso così rilevante. Per alcuni pazienti, i fattori psicologici e interpersonali, come il perfezionismo patologico, il bisogno di controllo, la presenza problemi familiari hanno un ruolo maggiore (Schmidt, 2016).
In ogni caso, il primo obiettivo terapeutico, è quello di normalizzare il peso corporeo e quindi ridurre il rischio di morte del paziente.
Successivamente, quando quest’ultimo non è più a rischio di vita, lo psicoterapeuta, in collaborazione con il paziente, effettua una vera e propria ristrutturazione cognitiva.
Infatti, una volta individuati i pensieri automatici distruttivi, la diade clinica (paziente e terapeuta) indaga le credenze intermedie e profonde specifiche, al fine di sviluppare pensieri alternativi e modificare le assunzioni sottostanti.
Possono essere utilizzati diversi esercizi come il decentramento (imparare a vedere le situazioni in modo più oggettivo) e la de-catastrofizzazione (chiedendo al paziente cosa effettivamente si verificherebbe se la situazione che teme si verificasse realmente – esempio: “quale sarebbe la cosa peggiore che potrebbe accadere se aumentasse di peso?”).
In questo modo, i pazienti imparano a esercitarsi applicando nuove modalità di pensiero a situazioni che realmente potrebbero verificarsi (Zeppa, 2009).
È bene puntualizzare che nell’anoressia nervosa, i problemi a carico dei processi di alimentazione non sono il sintomo centrale, ma semplicemente il più visibile; è per tale ragione che lo psicoterapeuta studia, per ogni singolo caso, il significato del sintomo nella vita personale del paziente.
In questa direzione, la costruzione di una salda alleanza terapeutica è l’ingrediente cardine del successo del trattamento.
La psicoterapia cognitivo comportamentale (CBT) rappresenta il gold standard nel trattamento della anoressia nervosa, l’unica la cui efficacia è dimostrata scientificamente sia nel breve termine che nel lungo periodo.
La psicoterapia cognitivo comportamentale può inoltre essere applicata sia nelle forme leggere che in quelle gravi e persistenti (Calugi et al., 2016), dimostrando quanto sia fondamentale, prima di concludere che un paziente non tragga o tragga poco beneficio dalla psicoterapia, lavorare sulla motivazione alla terapia e al cambiamento.
È per questo che la psicoterapia cognitivo comportamentale ha assunto il ruolo di trattamento d’elezione nei disturbi del comportamento alimentare, superando anche quello della terapia farmacologica, così come attestano l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Bibliografia
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