L’ansia scolare è un disturbo in cui il livello di ansia, paura e angoscia nel recarsi a scuola sono tali da compromettere una regolare frequenza e il buon rendimento scolastico. Questa condizione emotiva è molto diffusa tra i bambini (Merikangas et al., 2010), in particolare ha un tasso di prevalenza tra l’1% e il 5% in età evolutiva (Fremont W. P., 2003). Esordisce intorno ai 5-6 anni, ma colpisce anche i bambini compresi nella fascia di età 10-11 anni (Fremont W. P., 2003). Tale disturbo può essere considerato come una forma di fobia sociale e nasce dalla paura, irrazionale e non controllabile, nei confronti del giudizio negativo, o di prendere brutti voti a scuola e di non essere capaci di superare una prova. Sebbene nel contesto clinico sia usata l’etichetta diagnostica “Fobia scolare”, alcuni autori suggeriscono di avvalersi della definizione “Rifiuto della scuola”, per identificare il rifiuto a frequentare la scuola (Kaerney et al., 1996). Kearney la descrive come “una inabilità del bambino a mantenere un funzionamento appropriato all’età rispetto alla frequenza scolastica” (Keraney et al., 2010). L’ansia scolastica non ha una sua categoria nosologica nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), tuttavia può essere associata ad alcuni disturbi psicologici importanti, come l’ansia da separazione e la fobia sociale. In casi estremi, la fobia scolare può anche essere accompagnata da un disturbo depressivo, qualora il soggetto provi un forte senso di vergogna per il fallimento scolastico, bassa autostima e senso di inadeguatezza. Come nell’adulto, l’ansia è associata a manifestazioni psico-somatiche. Tra i sintomi somatici quelli più diffusi sono: mal di testa, mal di pancia, nausea, vomito, diarrea, palpitazioni e febbre. Tra i sintomi psicologici e comportamentali, invece, ricordiamo: pianto, ira e collera, crisi di panico all’ingresso della scuola, difficoltà ad addormentarsi e mente offuscata. Molte sono le cause e i fattori di rischio che possono favorire questo disturbo. Alcuni studi, effettuati sui gemelli, suggeriscono la presenza di una vulnerabilità biologica e genetica (Fyer, A. J., et al., 1995). Tra i fattori esperienziali, invece, il timore dell’insegnante, la paura di avere brutti voti a scuola, lo scarso rendimento scolastico, esperienze di maltrattamenti ed episodi di bullismo, possono influire nell’insorgenza del disturbo. Alla base del disturbo, inoltre, possono essere riconosciute altre cause, come la dipendenza del figlio dalla madre e atteggiamenti materni di iperprotezione (Martin et al., 1999), che scatenano nel bambino l’ansia da separazione. Inoltre, anche i fattori psicologici, come la volontà di mostrare una buona immagine di sé e il desiderio di rispondere alle alte aspettative dei genitori, sono importanti fattori di rischio. La permanenza a scuola è vissuta come un evento sgradevole (Nauta et al., 2001) e causa un circolo vizioso in cui il vissuto ansioso si manifesta in concomitanza all’anticipazione di un possibile fallimento, a questo ne consegue la fatica a concentrarsi nello studio e la compromissione della prestazione del bambino. Le prestazioni peggiori nelle attività scolastiche confermeranno, poi, la credenza «non posso farcela» e il senso di inadeguatezza e disistima del bambino, inducendolo a ritirarsi sempre più in sé stesso, con conseguente scarsa motivazione e impegno nell’affrontare i compiti (Bandura, 1997). La credenza erronea di un possibile fallimento, dunque, può indurre non solo l’evitamento dello stimolo fobico, ossia la scuola, ma anche un cattivo rendimento scolastico che porta il bambino a confermare la convinzione di non essere all’altezza della situazione. In questo modo, si attiva la “Profezia che si auto-avvera”, ossia la realizzazione delle aspettative negative circa un evento. Questa condizione clinica è sicuramente curabile, quello che appare più problematico, invece, è il percorso che porta dalla consapevolezza del disturbo e alla richiesta di un trattamento. L’ansia scolastica, infatti, risulta difficile da diagnosticare, a causa delle minori capacità del sistema cognitivo dei bambini, per cui, può essere assente la percezione che l’ansia possa essere sproporzionata rispetto al reale pericolo, o anche perché i genitori possono pensare che i propri figli non vogliano andare a scuola per malesseri immaginari o per capriccio. Per il trattamento è di fondamentale importanza il coinvolgimento e la collaborazione dei genitori. Durante la terapia possono essere svolti incontri di Psico-educazione e sedute di Parent Training, per insegnare a rispondere alle richieste e ai comportamenti del bambino in modo da non rinforzare le sue paure. Inoltre, la terapia cognitivo comportamentale ha dimostrato ottimi risultati nel trattamento (Kodal, et al., 2018). L’obiettivo principale consiste nell’eliminare i pensieri irrazionali e rafforzare le credenze razionali. Importante risulta, anche, insegnare a gestire le emozioni e a non abbattersi per una bassa prestazione scolastica. Con la Tecnica dell’Esposizione Graduale, invece, si espone gradualmente il bambino alla situazione temuta, per imparare a gestire l’ansia e verificare che questa situazione, in realtà, non comporta un reale pericolo. Ogni comportamento del bambino, che si avvicina all’obiettivo prefissato, verrà premiato, poi, con la Tecnica del Rinforzo per fargli acquisire più sicurezza in sé stesso.
di Maria Chiara Carriero
L’ansia scolare è un disturbo in cui il livello di ansia, paura e angoscia nel recarsi a scuola sono tali da compromettere una regolare frequenza e il buon rendimento scolastico. Questa condizione emotiva è molto diffusa tra i bambini (Merikangas et al., 2010), in particolare ha un tasso di prevalenza tra l’1% e il 5% in età evolutiva (Fremont W. P., 2003). Esordisce intorno ai 5-6 anni, ma colpisce anche i bambini compresi nella fascia di età 10-11 anni (Fremont W. P., 2003). Tale disturbo può essere considerato come una forma di fobia sociale e nasce dalla paura, irrazionale e non controllabile, nei confronti del giudizio negativo, o di prendere brutti voti a scuola e di non essere capaci di superare una prova. Sebbene nel contesto clinico sia usata l’etichetta diagnostica “Fobia scolare”, alcuni autori suggeriscono di avvalersi della definizione “Rifiuto della scuola”, per identificare il rifiuto a frequentare la scuola (Kaerney et al., 1996). Kearney la descrive come “una inabilità del bambino a mantenere un funzionamento appropriato all’età rispetto alla frequenza scolastica” (Keraney et al., 2010). L’ansia scolastica non ha una sua categoria nosologica nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), tuttavia può essere associata ad alcuni disturbi psicologici importanti, come l’ansia da separazione e la fobia sociale. In casi estremi, la fobia scolare può anche essere accompagnata da un disturbo depressivo, qualora il soggetto provi un forte senso di vergogna per il fallimento scolastico, bassa autostima e senso di inadeguatezza. Come nell’adulto, l’ansia è associata a manifestazioni psico-somatiche. Tra i sintomi somatici quelli più diffusi sono: mal di testa, mal di pancia, nausea, vomito, diarrea, palpitazioni e febbre. Tra i sintomi psicologici e comportamentali, invece, ricordiamo: pianto, ira e collera, crisi di panico all’ingresso della scuola, difficoltà ad addormentarsi e mente offuscata. Molte sono le cause e i fattori di rischio che possono favorire questo disturbo. Alcuni studi, effettuati sui gemelli, suggeriscono la presenza di una vulnerabilità biologica e genetica (Fyer, A. J., et al., 1995). Tra i fattori esperienziali, invece, il timore dell’insegnante, la paura di avere brutti voti a scuola, lo scarso rendimento scolastico, esperienze di maltrattamenti ed episodi di bullismo, possono influire nell’insorgenza del disturbo. Alla base del disturbo, inoltre, possono essere riconosciute altre cause, come la dipendenza del figlio dalla madre e atteggiamenti materni di iperprotezione (Martin et al., 1999), che scatenano nel bambino l’ansia da separazione. Inoltre, anche i fattori psicologici, come la volontà di mostrare una buona immagine di sé e il desiderio di rispondere alle alte aspettative dei genitori, sono importanti fattori di rischio. La permanenza a scuola è vissuta come un evento sgradevole (Nauta et al., 2001) e causa un circolo vizioso in cui il vissuto ansioso si manifesta in concomitanza all’anticipazione di un possibile fallimento, a questo ne consegue la fatica a concentrarsi nello studio e la compromissione della prestazione del bambino. Le prestazioni peggiori nelle attività scolastiche confermeranno, poi, la credenza «non posso farcela» e il senso di inadeguatezza e disistima del bambino, inducendolo a ritirarsi sempre più in sé stesso, con conseguente scarsa motivazione e impegno nell’affrontare i compiti (Bandura, 1997). La credenza erronea di un possibile fallimento, dunque, può indurre non solo l’evitamento dello stimolo fobico, ossia la scuola, ma anche un cattivo rendimento scolastico che porta il bambino a confermare la convinzione di non essere all’altezza della situazione. In questo modo, si attiva la “Profezia che si auto-avvera”, ossia la realizzazione delle aspettative negative circa un evento. Questa condizione clinica è sicuramente curabile, quello che appare più problematico, invece, è il percorso che porta dalla consapevolezza del disturbo e alla richiesta di un trattamento. L’ansia scolastica, infatti, risulta difficile da diagnosticare, a causa delle minori capacità del sistema cognitivo dei bambini, per cui, può essere assente la percezione che l’ansia possa essere sproporzionata rispetto al reale pericolo, o anche perché i genitori possono pensare che i propri figli non vogliano andare a scuola per malesseri immaginari o per capriccio. Per il trattamento è di fondamentale importanza il coinvolgimento e la collaborazione dei genitori. Durante la terapia possono essere svolti incontri di Psico-educazione e sedute di Parent Training, per insegnare a rispondere alle richieste e ai comportamenti del bambino in modo da non rinforzare le sue paure. Inoltre, la terapia cognitivo comportamentale ha dimostrato ottimi risultati nel trattamento (Kodal, et al., 2018). L’obiettivo principale consiste nell’eliminare i pensieri irrazionali e rafforzare le credenze razionali. Importante risulta, anche, insegnare a gestire le emozioni e a non abbattersi per una bassa prestazione scolastica. Con la Tecnica dell’Esposizione Graduale, invece, si espone gradualmente il bambino alla situazione temuta, per imparare a gestire l’ansia e verificare che questa situazione, in realtà, non comporta un reale pericolo. Ogni comportamento del bambino, che si avvicina all’obiettivo prefissato, verrà premiato, poi, con la Tecnica del Rinforzo per fargli acquisire più sicurezza in sé stesso.
L’ansia scolare è un disturbo in cui il livello di ansia, paura e angoscia nel recarsi a scuola sono tali da compromettere una regolare frequenza e il buon rendimento scolastico. Questa condizione emotiva è molto diffusa tra i bambini (Merikangas et al., 2010), in particolare ha un tasso di prevalenza tra l’1% e il 5% in età evolutiva (Fremont W. P., 2003). Esordisce intorno ai 5-6 anni, ma colpisce anche i bambini compresi nella fascia di età 10-11 anni (Fremont W. P., 2003). Tale disturbo può essere considerato come una forma di fobia sociale e nasce dalla paura, irrazionale e non controllabile, nei confronti del giudizio negativo, o di prendere brutti voti a scuola e di non essere capaci di superare una prova. Sebbene nel contesto clinico sia usata l’etichetta diagnostica “Fobia scolare”, alcuni autori suggeriscono di avvalersi della definizione “Rifiuto della scuola”, per identificare il rifiuto a frequentare la scuola (Kaerney et al., 1996). Kearney la descrive come “una inabilità del bambino a mantenere un funzionamento appropriato all’età rispetto alla frequenza scolastica” (Keraney et al., 2010). L’ansia scolastica non ha una sua categoria nosologica nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), tuttavia può essere associata ad alcuni disturbi psicologici importanti, come l’ansia da separazione e la fobia sociale. In casi estremi, la fobia scolare può anche essere accompagnata da un disturbo depressivo, qualora il soggetto provi un forte senso di vergogna per il fallimento scolastico, bassa autostima e senso di inadeguatezza. Come nell’adulto, l’ansia è associata a manifestazioni psico-somatiche. Tra i sintomi somatici quelli più diffusi sono: mal di testa, mal di pancia, nausea, vomito, diarrea, palpitazioni e febbre. Tra i sintomi psicologici e comportamentali, invece, ricordiamo: pianto, ira e collera, crisi di panico all’ingresso della scuola, difficoltà ad addormentarsi e mente offuscata. Molte sono le cause e i fattori di rischio che possono favorire questo disturbo. Alcuni studi, effettuati sui gemelli, suggeriscono la presenza di una vulnerabilità biologica e genetica (Fyer, A. J., et al., 1995). Tra i fattori esperienziali, invece, il timore dell’insegnante, la paura di avere brutti voti a scuola, lo scarso rendimento scolastico, esperienze di maltrattamenti ed episodi di bullismo, possono influire nell’insorgenza del disturbo. Alla base del disturbo, inoltre, possono essere riconosciute altre cause, come la dipendenza del figlio dalla madre e atteggiamenti materni di iperprotezione (Martin et al., 1999), che scatenano nel bambino l’ansia da separazione. Inoltre, anche i fattori psicologici, come la volontà di mostrare una buona immagine di sé e il desiderio di rispondere alle alte aspettative dei genitori, sono importanti fattori di rischio. La permanenza a scuola è vissuta come un evento sgradevole (Nauta et al., 2001) e causa un circolo vizioso in cui il vissuto ansioso si manifesta in concomitanza all’anticipazione di un possibile fallimento, a questo ne consegue la fatica a concentrarsi nello studio e la compromissione della prestazione del bambino. Le prestazioni peggiori nelle attività scolastiche confermeranno, poi, la credenza «non posso farcela» e il senso di inadeguatezza e disistima del bambino, inducendolo a ritirarsi sempre più in sé stesso, con conseguente scarsa motivazione e impegno nell’affrontare i compiti (Bandura, 1997). La credenza erronea di un possibile fallimento, dunque, può indurre non solo l’evitamento dello stimolo fobico, ossia la scuola, ma anche un cattivo rendimento scolastico che porta il bambino a confermare la convinzione di non essere all’altezza della situazione. In questo modo, si attiva la “Profezia che si auto-avvera”, ossia la realizzazione delle aspettative negative circa un evento. Questa condizione clinica è sicuramente curabile, quello che appare più problematico, invece, è il percorso che porta dalla consapevolezza del disturbo e alla richiesta di un trattamento. L’ansia scolastica, infatti, risulta difficile da diagnosticare, a causa delle minori capacità del sistema cognitivo dei bambini, per cui, può essere assente la percezione che l’ansia possa essere sproporzionata rispetto al reale pericolo, o anche perché i genitori possono pensare che i propri figli non vogliano andare a scuola per malesseri immaginari o per capriccio. Per il trattamento è di fondamentale importanza il coinvolgimento e la collaborazione dei genitori. Durante la terapia possono essere svolti incontri di Psico-educazione e sedute di Parent Training, per insegnare a rispondere alle richieste e ai comportamenti del bambino in modo da non rinforzare le sue paure. Inoltre, la terapia cognitivo comportamentale ha dimostrato ottimi risultati nel trattamento (Kodal, et al., 2018). L’obiettivo principale consiste nell’eliminare i pensieri irrazionali e rafforzare le credenze razionali. Importante risulta, anche, insegnare a gestire le emozioni e a non abbattersi per una bassa prestazione scolastica. Con la Tecnica dell’Esposizione Graduale, invece, si espone gradualmente il bambino alla situazione temuta, per imparare a gestire l’ansia e verificare che questa situazione, in realtà, non comporta un reale pericolo. Ogni comportamento del bambino, che si avvicina all’obiettivo prefissato, verrà premiato, poi, con la Tecnica del Rinforzo per fargli acquisire più sicurezza in sé stesso.