21 Set 2020

La stimolazione cognitiva nella demenza

di Rossana Francesca Colucci


Il World Alzheimer Report (2016) ha stimato che circa 47 milioni di persone sono affette da Demenza in tutto il mondo e questo dato sarà destinato ad aumentare a 131 milioni entro il 2050 (ADI, 2016).
Nonostante
 i progressi della ricerca nel settore della patogenesi della demenza -ad oggi- non esiste una terapia farmacologica specifica in grado di arrestarne l’evoluzione.
Tuttavia, in letteratura sono sempre più numerosi gli studi che riportano i benefici degli interventi neuropsicologici che, abbinati al trattamento farmacologico, rallenterebbero il declino cognitivo (Matsuda, 2010).
Tra questi, la Stimolazione Cognitiva è stata oggetto di interesse nella comunità scientifica, perché determinante nel contrastare la perdita delle abilità residue e con benefici paragonabili a quelli ottenuti mediante i farmaci (Spector et al., 2003).

Che cos’è?

La Stimolazione Cognitiva è un intervento che rientra negli approcci riabilitativi per persone con Demenza di grado lieve e moderato e riflette l’idea che la mancanza di attività cognitiva accelererebbe il declino cognitivo (Woods, 2012).

Tale trattamento è finalizzato al mantenimento e al potenziamento delle funzioni cognitive residue, cioè quelle che la malattia ha risparmiato, e al rallentamento del decadimento cognitivo causato dalla patologia neurodegenerativa.

A cosa serve e perché viene utilizzata

In tale ambito, i concetti di Neuroplasticità e di Riserva Cognitiva risultano di fondamentale importanza.
La plasticità cerebrale è un processo neurofisiologico che si riferisce alla capacità dei neuroni di modificare le loro connessioni ed è coinvolta nello sviluppo e nella riorganizzazione delle reti neurali dopo un danno cerebrale (Stampanoni Bassi et al., 2019). La relazione fra il danno cerebrale e le sue manifestazioni cliniche ha portato a considerare la nozione di “Riserva Cognitiva” (Chicherlo, C., et al. 2012). Essa indica la resilienza a un danno neuropatologico attraverso la massimizzazione delle prestazioni con il coinvolgimento di reti cerebrali non compromesse dal danno neurologico (Neuroplasticità) e/o strategie cognitive alternative (Riserva Cognitiva).

Questo è possibile grazie alla “Ridondanza”, cioè al fatto che il nostro cervello disponga di un numero di cellule nervose di gran lunga superiore a quelle di cui necessita (Gollin, Ferrari, Peruzzi 2015). I neuroni in esubero fungono da riserva che compensano quelli danneggiati e sopperiscono, così, alle difficoltà della patologia (Gollin, Ferrari, Peruzzi 2015). La varietà degli stimoli, il ripetuto esercizio cognitivo, l’attività fisica e il coinvolgimento in attività stimolanti concorrono a rinforzare la Riserva Cognitiva. Infatti, come mostrano alcune ricerche, uno stile di vita attivo e socialmente integrato in età avanzata protegge dal rischio di sviluppare una demenza (Fratiglioni, Paillard-Borg e Winblad, 2004; Erickson, 2012). Tuttavia, la Stimolazione Cognitiva non ripristinerà le funzioni compromesse dalla malattia degenerativa ma potrà fornire un notevole contributo nel rallentamento del progressivo declino, mediante l’ottimizzazione della riserva cognitiva, la promozione di strategie di compenso e lo sviluppo di capacità che vadano a compensare quelle perdute (Calvarese & Lovati, 2015; Cheng, S.T., 2016; Gollin, Ferrari, Peruzzi, 2015; ADI, 2011). Pertanto, il World Alzheimer’s Report (2011) raccomanda che per aumentarne l’efficacia, il programma inizi il prima possibile e sia costante e prolungato (ADI, 2011).

Come avviene?

L’attività di stimolazione cognitiva deve essere svolta da un professionista appositamente formato (ADI, 2011) come uno psicologo esperto in riabilitazione, che sottopone al paziente specifici compiti creati ad hoc per il potenziamento delle sue funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio, funzioni prassiche e visuo-percettive, funzioni esecutive).

Tra le attività proposte si ricorda: l’associazione di concetti simili dal punto di vista semantico, categorizzazioni, visualizzazione e problem solving, copia di figure, denominazione di oggetti di uso comune, costruzione di frasi, rievocazione di brani, cancellazione di stimoli target. L’intervento, inoltre, deve essere pianificato, programmato, personalizzato e specifico per il paziente e per poter essere efficace deve:

  • Essere rapportato alle abilità residue della persona, stimate attraverso una valutazione neuropsicologica del suo funzionamento cognitivo;
  • Essere svolto in un ambiente sereno con sedute regolari e protratte nel tempo;
  • Essere guidato da una serie di indicazioni brevi;
  • Rispettare i tempi della persona senza mai farla sentire incapace;
  • Promuovere l’autonomia e il senso di autoefficacia della persona;
  • Raggiungere obiettivi condivisi.

L’eterogeneità è un elemento fondamentale per la strutturazione degli esercizi, che devono avere stimoli diversi e stadi di difficoltà progressivi tali da permettere un miglioramento delle prestazioni cognitive. Ai fini del monitoraggio della performance nel tempo, sarebbe inoltre opportuno registrare i risultati delle prove e fornire un supporto costante alla persona per gestire assieme le difficoltà e verificare gli errori commessi, fornendo dei feedback sull’andamento.

Non è importante ottenere una prestazione elevata nei compiti, ma riuscire a coinvolgere la persona nell’esercizio cognitivo proposto. L’attività, infatti, deve essere sempre rinforzata positivamente per innalzare la motivazione (Calvarese & Lovati, 2015) e sarebbe opportuno coinvolgere anche i caregivers, risorse preziose per il raggiungimento degli obiettivi preposti.

Tali presupposti ci permettono di prendere le distanze dagli approcci “casalinghi” (cruciverba, giochi on line, ecc.), fatti di esercizi non diversificati che creano prevedibilità nello svolgimento, per cui la persona impara a superare quel problema senza nessuna generalizzazione nel contesto di vita, non riuscendo ad adottare strategie alternative da mettere in pratica e non ottenendo, quindi, dei benefici terapeutici.

Uno degli interventi evidence-based al momento più raccomandati è la Terapia di Stimolazione Cognitiva di Spector (CST da Cognitive Stimulation Therapy – Spector et al., 1998, 2000, 2003, 2008; Orrell et al., 2005). La CST è un breve trattamento per le persone con demenza da lieve a moderata e comprende 14 sessioni di attività che si svolgono due volte alla settimana per un periodo di 7 settimane (Spector, 2008).

Bibliografia

Boccardi M, Frisoni GB. Cognitive rehabilitation for severe dementia: critical observations for better use of existing knowledge. Mech Ageing Dev, 2006; 127:166-72

Calvarese & Lovati (2015) (2001). Camminare con la Demenza. Torino: Edizione Minerva Medica

Cheng, ST. (2016). Cognitive Reserve and the Prevention of Dementia: the Role of Physical and Cognitive Activities. Curr Psychiatry Rep, 18(9): 85

ChicherIo, C., LudWIG, C., & Borella, E. (2012). La capacità di riserva-cerebrale e cognitiva-nell’invecchiamento cognitivo. Giornale italiano di psicologia, 39(2), 315-342

Erickson,  Weinstein & Lopez. (2012). Physical Activity, Brain Plasticity, and Alzheimer’s Disease. Arch Med Res, 43 (8): 615–621. doi:  10.1016 / j.arcmed.2012.09.008

Faggian, S. (2007). An intervention protocol on cognitive abilities for subjects with severe cognitive impairment S. G GERONTOL, 55:134-143

Fratiglioni, L., Paillard-Borga, S., Winbladna, S. (2004). An active and socially integrated lifestyle in late life might protect against dementia. The Lancet Neurology. Volume 3, numero 6 ,  pagine 343-353

Matsuda, O., Shido, E., Hashikai., A, Shibuya, H., Kouno, M., Hara, C., Saito, M. (2010). Short-term Effect of Combined Drug Therapy and Cognitive Stimulation Therapy on the Cognitive Function of Alzheimer’s Disease. Study Psychogeriatrics, 167-72. doi: 10.1111/j.1479-8301.2010.00335.x.

Orrell M., Spector , A., Thorgrimsen L.,  Woods, B. (2005) A Pilot Study Examining the Effectiveness of Maintenance Cognitive Stimulation Therapy (MCST) for People With Dementia. Int J Geriatr Psychiatry, 20 (5): 446-51. 

Passafiume, D. & Di Giacomo, D. (2006). La demenza di Alzheimer: Guida all’intervento di stimolazione cognitiva e comportamentale. Milano: Franco Angeli

Prince, M., Bryce, R., & Ferri, C.  (2011). Alzheimer’s Disease International. World Alzheimer Report 2011. The benefits of early diagnosis and intervention.

Prince, M., Comas-Herrera, A., Knapp, M., Guerchet, M., Karagiannidou, M. (2016). Alzheimer’s Disease International. World Alzheimer Report 2016. Improving healthcare for people living with dementia coverage, Quality and costs now and in the future

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Spector, A, Davies, S., Woods, B., & Orrell, M. (2000). Reality Orientation for dementia. A systematic review of the evidence for its effectiveness. Gereontologist, 40, 206-212

Spector A., Thorgrimsen, L., Woods, B., Royan, L., Davies, S., Butterworth, M., & Orrell, M. (2003). Efficacy of an evidence-based cognitive stimulation therapy programme for people with dementia:Randomised controlled trial. British Journal of Psychiatry, 183, 248-254

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Stampanoni Bassi,  M.,  Iezzi, E., Gilio, L.,  Centonze, D., & Buttari, F. (2019). Synaptic Plasticity Shapes Brain Connectivity: Implications for Network Topology. Int J Mol Sci, 20(24): 6193. doi: Woods, B., Aguirre, E., Spector, A. E., Orrell, M. (2012). Cognitive Stimulation to Improve Cognitive Functioning in People With Dementia. Cochrane Database Syst Rev, (2): doi: 10.1002/14651858.CD005562.pub2.

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