03 Dic 2024

Vivere per raccontare, raccontare per vivere: la storia di Ada D’Adamo

Di Marzia Casilli


Il mestiere di scrivere è un mestiere imprescindibile dalla vita, dal dolore e dalla cura di esso.
Ce lo insegna, con la sua ultima più preziosa lezione, la scrittrice Ada d’Adamo vincitrice postuma del Premio Strega 2023, con il suo romanzo autobiografico Come D’Aria (Elliot Editore).
Il destino non le ha concesso di essere qui con noi, presente nel nostro caotico mondo, per ritirare il premio con le sue mani, a farlo al suo posto è stato il marito Alfredo Favi.
Ada D’Adamo, infatti, è morta a 55 anni, a seguito di una lunga malattia, il 1 aprile 2023, due giorni dopo aver saputo che il suo romanzo era entrato nella dozzina del Premio Strega.
Prima di arrivare qui, lei e il suo libro, ne hanno fatta di strada, essendo stati rifiutati da molti editori.
Arrivata a questo punto Ada non doveva dimostrare più nulla a nessuno, quello che di più grande poteva fare, l’aveva già fatto: rendere visibile l’invisibile.

Ma di cosa parla il romanzo Come D’Aria?

Ada ha dedicato 10 anni alla stesura di questo lavoro di 125 pagine. Un romanzo breve che pesa tantissimo eppure leggero. La storia è quella di Ada intrecciata a quella di sua figlia Daria, affetta da oloprosencefalia. Solo la parola è difficile da pronunciare. Ho dovuto leggerla tre quattro volte, per capire come scriverla, per non commettere errori.

L’oloprosenceflia è una patologia molto grave, una malformazione al cervello che non permette di vedere, parlare, stare dritti da soli. È diagnosticabile prima della nascita e proprio a causa della sua gravità è prevista la possibilità dell’aborto terapeutico. Nel febbraio 2008 Ada scrive una lettera a Corrado Augias, che al tempo curava una rubrica su Repubblica, in cui spiega che cosa significa crescere in Italia un figlio con disabilità grave. Sottolinea e denuncia la totale assenza ingiustificata dello Stato nei confronti delle famiglie con figli disabili.

La lettera inizia così:

Gentile Augias, un “bravissimo” medico non è stato in grado di leggere da un’ecografia che mia figlia sarebbe nata con una grave malformazione cerebrale. […] In questi anni ho conosciuto famiglie sbriciolate, unioni distrutte, donne sprofondate nella depressione. Non tutti hanno la forza fisica, gli strumenti psicologici, i mezzi economici, la cultura che ci vuole per combattere contro la burocrazia implacabile, contro la crudeltà di certi medici, l’inciviltà imperante, la solitudine, la stanchezza e, infine, se stessi e la propria inadeguatezza.”

Per poi proseguire sul tema dell’aborto :

L’aborto è una scelta dolorosa per chi la compie, ma è una scelta e va garantita. Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’aborto terapeutico.
Ai medici che vogliono rianimare i feti anche senza il consenso delle madri dico di uscire dai reparti di terapia intensiva, andare a vedere con i loro occhi cosa sono diventati quei bambini, a quale eterno presente hanno condannato quelle madri ”

Ada era una ballerina, diplomata all’Accademia Nazionale di danza, e ha dovuto lasciare tutto per dedicarsi interamente a Daria.
“Quando hai un figlio disabile cammini al posto suo, vedi al posto suo, prendi l’ascensore perché lui non può fare le scale, guidi la macchina perché lui non può salire sull’autobus. Diventi le sue mani e i suoi occhi, le sue gambe e la sua bocca. Ti sostituisci al suo cervello. E a poco a poco, per gli altri, finisci con l’essere un po’ disabile pure tu: un disabile per procura.”

È una storia che racconta gli inizi. Lo fa con lentezza, come un tubo che perde acqua ci sgocciola addosso il buio. Il non sapere. La paura. La sensazione inspiegabile che qualcosa non va. Il silenzio di chi non viene a spiegarci. La solitudine.
E la speranza che tutto migliorerà.
“La notte del 27 novembre 2005 ti misero distesa accanto a me e ci portarono in reparto. Mi ricordo che dormii poco e quando venne l’alba tu cominciasti a piangere. È normale pensai.
[…] Di quei primissimi giorni ho ricordi confusi, immagini più che altro: la mia vestaglia di seta troppo leggera per il freddo di novembre, gli sguardi attoniti degli amici, il dolore dei punti che mi impediva di dormire, il ruggito dei pensieri che mi si affollavano nella mente.”

Dopo la diagnosi di oloprosencefalia, Ada racconta dei primi approcci alla disabilità. Dei tentativi ingenui di avvicinarsi ad essa, come una danza, per conoscerla, immaginarsela in un futuro.
Racconta la stupida illusione di riportare tutto a una vita normale.
“Dottore, ma questa testina resterà così piccola per sempre?”
“Signora fossi in lei mi preoccuperei di che vita potrà avere sua figlia.”

Ha vinto il Premio Strega un romanzo che pone al centro la disabilità. Senza alcun filtro, con uno stile narrativo, malgrado tutto, vigoroso, fresco, leggero racconta a chi sta dall’altra parte, una normalità che i cosiddetti normali non conoscono.
Le battaglie, il sangue che si versa per dei diritti che sembrano scontati, ma che somigliano a privilegi, che diventano addirittura concessioni a discrezione di chi ci si ritrova davanti. Perché la legge non tutela, perché lo Stato è assente, con ben altri pensieri e mani in tutt’altre faccende affaccendate, racconta Ada d’Adamo.

“E più si va avanti, più le cose si complicano. Più i principi ispiratori della Legge 517 del 1977 sull’inclusione scolastica degli alunni con disabilità si scontrano con la rigidità dei programmi, con l’obbligo della didattica, con la separazione dei ruoli. […]
<<No, signora, io a sua figlia da bere non glielo do, perché se poi l’acqua le va di traverso finisco in galera>>. Queste parole pronunciate dalla tua maestra di sostegno ci hanno accolto il primo giorno di scuola elementare. Se mi avessero dato un pugno in pieno viso, forse mi avrebbe fatto meno male. Benvenute nella scuola dell’inclusione.”

Tutto ciò che non si può fare a scuola, si può fare a casa, per trarre il massimo anche dal minimo. Per fare in modo che quella luce non si spenga.
Negli anni i terapisti hanno osservato le strategie motorie che faticosamente metti in atto per guardare il mondo e ci hanno spiegato come renderti questo compito un po’ meno faticoso. […] Si prova a potenziare il naturale dialogo tra vista e gli altri sensi.[…] Palle e palline di diverse grandezze e colori; spugnette morbide ruvide rugose; gomitoli, collane e stoffe fluorescenti […] Presto la casa è diventata la succursale di un ambiente per la stimolazione sensoriale.”

Ada d’Adamo non celebra solo la narrativa ma anche la medicina e in questo lavoro crea un connubio tra esse. Racconta la medicina e tutto ciò che le ruota intorno, compreso, anzi osannando, il mondo della riabilitazione.
“E poi il pensiero al mondo della riabilitazione: persone che non perdono tempo a rimpiangere quel che ti manca ma sfruttano il poco che hai. E quel poco diventa tanto. Brevi attimi di felicità fioriscono tra le pieghe dei giorni. Durano un istante ma è grazie a questi istanti che si può andare avanti.”

È dunque un romanzo che parla di maternità, di corpi materiali, di liquidi corporei, di malattia. La malattia della figlia e la malattia di Ada, quando anche lei si ammala di cancro al seno e tutto il loro equilibrio cambia.
“Ogni malattia rompe un equilibrio. È accaduto innanzitutto dentro di me e poi, inevitabilmente, nella nostra relazione”

Parla di malattia e lo fa come Dio come comanda, senza pietismi, senza falsità, senza edulcoranti, ne parla e basta. Lo fa con eleganza, con crudezza, con disperazione e con speranza, non risparmiandoci nemmeno un passaggio, nemmeno un dettaglio, come un catetere venoso che si fa fatica ad accettare, gli effetti collaterali della terapia, il freddo in estate, le unghie che si spezzano.
È nel momento della perdita dei capelli, in cui successivamente si scoprono i pidocchi nei capelli della figlia, che Daria riconosce nuovamente quel legame unico che hanno i loro corpi.
“Desideravo la bellezza, l’ho detto. E tu, a dispetto degli occhi molto ravvicinati e delle sopracciglia unite, nonostante lo strabismo e la microcefalia, sei sempre stata una bella bambina. Si può dire che la tua bellezza sia stata insieme la tua condanna e la tua bellezza. […]
Desideravo la bellezza e l’ho avuta: ho avuto te.”

È altresì un romanzo spietato che parla tuttavia di brevi, cristallizzate felicità, che rimangono lì anche quando spariscono. Cicatrici di contentezza. È un romanzo che parla della scrittura come salvezza, che celebra attraverso coreografie narrative il mistero e il fascino dell’esistenza. È infine un romanzo che parla di immortalità, perché come quelle brevi felicità cristallizzate, anche noi possiamo restare andando via.
Ada ce lo ha insegnato, che è così, bisogna vivere per raccontare e raccontare per vivere.

Tutti noi esistiamo due volte, la prima mortale di materia e corpo, la seconda eterna, si ripete come un film nei ricordi, nei gesti, nelle idee di chi ci ha amato e nelle parole che abbiamo lasciato.

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