di Sebastiano Tarda
Cos’è il biofeedback?
Il biofeedback è uno strumento utilizzato in ambito clinico per aiutare le persone a sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio corpo e autoregolarlo.
Ciò è possibile perché tramite dei sensori: il biofeedback monitora in tempo reale varie risposte fisiologiche contemporaneamente quali il respiro, il battito cardiaco, la sudorazione delle mani, la tensione muscolare e la temperatura corporea.
Queste, poi, sono rese accessibili al paziente, grazie a uno schermo posto di fronte, sotto forma di stimolo visivo e/o acustico (Vedi Immagine 1).
Il biofeedback risulta estremamente efficace per il trattamento di alcune condizioni psicofisiche in cui i fattori di stress o ansia giocano un ruolo significativo, condizionando le risposte del nostro corpo.
Come l’ansia condiziona il nostro corpo?
L’ansia è una condizione di preallarme che ci mette in uno ‘stato di allerta’, ossia di attivazione delle risorse psicofisiche che comunicano al nostro corpo che vi è una minaccia e lo preparano ad affrontare adeguatamente il pericolo reale o percepito.
Il nostro organismo, quindi, al fine di sfuggire o fronteggiare queste presunte minacce risponde con particolari risposte fisiologiche; facendoci, quindi, respirare più velocemente, aumentando la frequenza cardiaca e restringendo i vasi sanguigni. Nel lungo termine, però, questi segnali possono provocare vari disagi intaccando il benessere della persona.
Valutazione delle condizioni psicofisiologiche
Per capire quale risposta fisiologica è maggiormente intaccata da stress o ansia si svolge una “valutazione del profilo psicofisiologico” che consiste nel rilevamento, tramite biofeedback, delle varie risposte fisiologiche del paziente, sia in condizione di riposo che di stress.
Questo permette di vedere, nella condizione di stress, quale risposta fisiologica risulta più attivata e quale, invece, continua a rimanere su valori alti anche nella fase di recupero (periodo di riposo).
Grazie a questa prima fase d’intervento è possibile individuare, dunque, su quale risposta fisiologica il paziente dovrà in futuro lavorare.
Come si svolge e cosa comporta un trattamento biofeedback?
Dopo la fase di valutazione, il trattamento prevede varie sessioni costituite da 10/15 sedute circa.
Il paziente è seduto in poltrona con lo schermo posto di fronte e si focalizza solo sulla risposta fisiologica risultata maggiormente sensibile ai fattori di stress nella fase di valutazione.
Lo strumento, quindi, fornirà un feedback (una risposta di ritorno) sotto forma di video, immagini e/o suoni ogni volta il paziente raggiungerà un obiettivo prefissato nel trattamento. Per esempio, se il paziente lavora sulla tensione muscolare, il biofeedback fornirà una risposta positiva tutte le volte che la persona riuscirà a rilassare maggiormente il muscolo.
Oltre a dare risposte correttive ai comportamenti disfunzionali lo strumento garantisce anche schermate su pratiche funzionali per il nostro organismo quali, ad esempio, la respirazione profonda e diaframmatica.
Attraverso questo percorso la persona imparerà gradualmente ad avere maggiore consapevolezza del proprio corpo e ad autoregolare le proprie risposte fisiologiche, dapprima nel contesto clinico e successivamente nel contesto di vita quotidiano.
L’uso del biofeedback nei disturbi d’ansia
Secondo alcuni studi il biofeedback è un trattamento di prima linea per ridurre i livelli di ansia (Futterman AD. & Shapiro D., 1986; Gevirtz R., 2013; Tabachnick L., 2015).
L’ansia si manifesta con vari sintomi fisiologici (Bond AJ. et al., 1974; Hoehn SR. et al., 1988) tra cui tensione muscolare (Hazlett RL. et al., 1994), sudorazione delle mani (Globish J. et al., 1999), aumento della frequenza cardiaca (Cuthbert BN. et al., 2003) e respirazione veloce e irregolare (Wilhelm FH. et al., 2001).
Questi sintomi possono essere presi in esame dal biofeedback e quindi trattati.
Durante un evento di dispnea (sensazione di soffocamento, costrizione toracica e mancanza di respiro) (Han JN. et al., 1998; Meuret AE. et al., 2006), ad esempio, la persona tende a focalizzarsi eccessivamente sui propri sintomi fisici dandone spesso un’interpretazione catastrofica (es. “cosa mi sta succedendo? La mia vita è a rischio”).
Questo, a sua volta, contribuisce a incrementare i livelli di ansia fino a raggiungere l’attacco di panico.
Con l’uso del biofeedback si è constatato che, lavorando sulla risposta del muscolo toracico, persone che sperimentavano dispnea riuscivano a eliminare questi sintomi facendo tendere, dapprima, questi muscoli in modo volontario, per poi riuscire a rilassarli (gradualmente) in maniera consapevole (Burki NK. & Lee LI., 2010).
Questo trattamento porta la persona ad avere il controllo delle proprie risposte fisiologiche (autoregolazione) e di conseguenza a interpretare in modo più razionale i sintomi e i segnali che provengono dal proprio corpo (Schachter S. et al., 1962).
Il biofeedback, inoltre, può aiutare la persona ansiosa a regolare il proprio funzionamento fisiologico anche attraverso il respiro (Khazan IZ., 2013).
In particolare, il paziente prende maggiore consapevolezza su quando riesce ad attuare una respirazione profonda e regolare, riuscendo così a modulare l’attività del sistema nervoso simpatico, deputato all’eccitazione del nostro corpo (St Croix C. et al., 1999; Dempsey J. et al., 2002), e dell’amigdala, struttura del cervello implicata nell’ansia (Jerath R. et al., 2014).
Quanto esposto sino ad ora ci sottolinea come un intervento che sia diretto al benessere della persona non possa tralasciare la forte relazione tra mente, corpo e organismo. Per riuscire a indagare e lavorare su queste variabili il biofeedback è risultato essere uno strumento efficace, concreto e diretto. Quindi sarebbe auspicabile che questo strumento possa prendere sempre più spazio e uso nel contesto clinico.
Bibliografia
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