di Mariangela Prudenzano
Cos’è la procrastinazione?
La procrastinazione è un comportamento volontario che spinge l’individuo a rimandare o sostituire un’attività in corso, nonostante le possibili conseguenze future negative.
Procrastinando, si tende a preferire azioni che consentono di raggiungere il piacere nell’immediato.
Non sempre l’atto del procrastinare ha un’accezione negativa: talvolta rimandare un’azione può essere una scelta valida e saggia.
Assume però una connotazione negativa nel momento in cui l’individuo posticipa azioni o decisioni in modo inadeguato alla situazione, con il rischio di pagarne le conseguenze (Van Eerde 2003).
In effetti, distogliere il pensiero da quel compito impegnativo ci fa sentire subito meglio, ma quali sono le conseguenze a lungo termine del continuo procrastinare?
Numerosi studi hanno cercato di indagare i motivi che spingono gli individui a rimandare continuamente un’azione, un compito, un progetto. Sono stati individuati diversi tipi di procrastinatori ed è stato analizzato il ruolo di questo comportamento in varie forme di psicopatologia.
Tipi di procrastinatori
Ferrari, già nel 1992 individuò 3 tipi di procrastinatori:
- Procrastinatore da arousal:
è l’individuo che rimanda un compito per ricercare sensazioni nuove e forti, impegnandosi con estrema energia in prossimità di una scadenza. Un atteggiamento simile è tipico dei cosiddetti sensation seekers. - Procrastinatore evitante:
rimanda il compito per evitare un fallimento al fine di proteggere l’autostima e non ricevere giudizi negativi. È colui che ha bisogno di prevenire le conseguenze negative temute per sfuggire a sensazioni di disagio. - Procrastinatone decisionale:
è l’individuo che posticipa intenzionalmente una decisione da prendere in un determinato lasso di tempo (Effert e Ferrari 1989) e ha una visione pessimista rispetto alla possibilità di fare scelte opportune e soddisfacenti (Giusti 2013).
Le cause della procrastinazione
La procrastinazione è una tendenza abbastanza comune, ma diventa oggetto di trattamento quando comincia ad avere un impatto negativo sulle situazioni di vita quotidiana. Alcune ricerche mostrano come la procrastinazione sia associata ad ansia, umore depresso, eccessiva preoccupazione e a emozioni a valenza negativa.
Sono stati individuati diversi motivi che spingerebbero gli individui a procrastinare.
Le cause più comuni sono:
- Disinteresse per il compito
- Scarsa motivazione
- Difficoltà a stabilire delle priorità
- Paura dell’insuccesso o delle responsabilità
- Scarsa fiducia nelle proprie capacità
- Perfezionismo
La correlazione tra procrastinazione e perfezionismo è stata presa in considerazione nei numerosi studi.
Ferrari (1989) sostiene che i procrastinatori spesso abbiano timore del giudizio altrui e per questa ragione credono di dover svolgere il lavoro nel migliore dei modi, focalizzandosi eccessivamente sulla prestazione. Si registra la tendenza a rimandare un compito per il timore di essere giudicati negativamente. Inoltre è stato anche osservato come la tendenza alla procrastinazione correli col senso di vergogna e con la stima di sé.
Spesso l’arte del rimandare diviene una strategia per gestire stress e ansia: evitando lo stress, ci si libera dai sentimenti che ne derivano, ma si generano vergogna e senso di colpa.
In questo modo, viene meno il proprio senso di autoefficacia (percezione di riuscire a gestire con successo ostacoli e attività) e di conseguenza anche le attività più semplici diventano complesse, con il rischio di svolgere il compito previsto in un clima di tensione, ansia, insoddisfazione e paura.
Anche le persone con elevati livelli di impulsività tendono a essere più propense a procrastinare. La persona impulsiva difatti si mostra disorganizzata, con scarso controllo sugli impulsi, incapace di perseverare per il raggiungimento di un obiettivo, gestire il tempo e lavorare con metodo. (Steel 2011).
Rimandare le decisioni è, anche, uno dei sintomi del disturbo depressivo (Beck 1972). La procrastinazione si inserisce infatti nel circolo vizioso che porta ad amplificare la depressione attraverso la cosiddetta “spirale depressiva”: un eccessivo calo dell’umore potrebbe provocare la procrastinazione che porterebbe allo sviluppo di sensi di colpa e disistima di sé, aggravando in questo modo la sintomatologia.
Le basi neurobiologiche della procrastinazione
Da un punto di vista neurobiologico la procrastinazione coinvolgerebbe il sistema limbico, un’area cerebrale costituita da strutture interconnesse appartenenti al sistema nervoso centrale. Queste regioni coordinano i compiti relativi alla percezione, alla presa di consapevolezza, al controllo e all’espressione delle emozioni:
- l’ippocampo, situato nel lobo temporale, è la sede della memoria emotiva che permette di ricordare le informazioni sensitive-sensoriali relative agli eventi vissuti;
- l’amigdala, sede della memoria emozionale, è implicata nell’elaborazione delle informazioni di natura emotiva;
- l’ipotalamo, posizionato nella zona centrale dell’encefalo, controlla il sistema nervoso autonomo ed è in grado di regolare il ciclo sonno-veglia, la temperatura corporea, ed in particolare l’espressione degli stati emotivi;
- il talamo, trasmette le informazioni sensoriali alla corteccia cerebrale;
- la corteccia limbica, che si trova nel lobo temporale mediale ed è strettamente collegata alla memoria, in particolare al consolidamento e al recupero della memoria episodica e semantica.
Il sistema limbico agisce in maniera più rapida rispetto alla corteccia prefrontale, che è invece la parte più razionale del cervello, deputata alla pianificazione e all’autocontrollo, dove vengono prese le decisioni che puntano a raggiungere gli obiettivi senza lasciare spazio alle procrastinazioni.
La procrastinazione quindi si verifica quando “il sistema limbico pone il veto sui piani a lungo termine della corteccia prefrontale per favorire ciò che è immediatamente realizzabile” (Steel 2011 p. 46). In breve quando le attività vengono rimandate e devono essere svolte urgentemente si attiva il sistema limbico che permette di realizzarle nell’immediato. A tal proposito è stato effettuato uno studio che ha evidenziato come le persone con alti livelli di procrastinazione mostrano prestazioni inferiori nei test che indagano le funzioni esecutive, un complesso sistema che regola la gestione delle risposte inibitorie, i processi di pianificazione e la coordinazione del sistema cognitivo (Rabin et al., 2011)
Trattamento
L’intervento cognitivo-comportamentale sembra essere quello maggiormente utilizzato nel trattamento della procrastinazione (Van Eerde 2000; Jacobson et al. 2001; Steel 2007; Mazzucchelli 2010).
Dal punto di vista comportamentale, gli interventi sono volti a facilitare la gestione del tempo e prevenire le distrazioni durante lo svolgimento di un compito (van Eerde 2000).
In generale, tutti gli interventi che favoriscono una routine sarebbero funzionali a inibire la procrastinazione (Steel 2007).
Dal punto di vista cognitivo è fondamentale lavorare sulle credenze disfunzionali individuabili nel procrastinatore (Pychyl e Flett 2012), vale a dire sui pensieri che potrebbero interferire con l’abilità di impegnarsi in una determinata attività (Schraw et al. 2007).
L’obiettivo del trattamento è allora quello di rendere l’individuo consapevole di come alcuni pensieri siano spesso un ostacolo a un comportamento corretto (McDermott 2004), stimolandolo a mettere in atto risposte maggiormente adattive.
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