14 Feb 2022

Che cosa si intende per suicidio, come intervenire e i falsi miti da sfatare

Approfondimento letterario a cura di Marzia Casilli, scrittrice


Prima di uccidersi a soli 42 anni, nella notte del 27 agosto 1950, al terzo piano in una stanza dell’hotel Roma, in una Torino calda, noiosa, con poche macchine e poche persone, qualche mese dopo aver vinto il Premio Strega, Cesare Pavese, uno dei più grandi scrittori del nostro tempo, prese la decisione a lungo meditata e a lungo citata nei suoi scritti: il suicidio.

Erano circa le 20:30 di domenica 27 agosto quando, dopo un sabato sera passato con l’amico Paolo Spriano, il cameriere forzò la porta della stanza n. 43 dell’hotel Roma nei pressi di Porta Nuova e vide Pavese steso per terra. Venti bustine di sonnifero ingerite in un colpo solo.
In un articolo su “La Stampa” si ricorda che

Si era tolto le scarpe, teneva un braccio piegato sotto la testa e un piede che penzolava fino a toccare il pavimento – continua la cronaca di Lorenzo Mondo – Venti bustine vuote di sonnifero, chiari indizi di volontà suicida, furono trovate sulla mensola del lavabo insieme ad alcune cialde. Sul davanzale della finestra si volatizzarono gli apparenti resti di una lettera incenerita.

“…NON FATE TROPPI PETTEGOLEZZI

Lasciò questi semplici versi e una breve lettera al suo amore giovane e difficile, Romilda Bollati, prima di andarsene. Una lettera dura e bella, di quella bellezza crudele di cui solo le cose tristi sono dotate, e in cui si respira un senso di perdita per tutto:

so che la vita è stupenda ma che io ne sono tagliato fuori

Cesare Pavese

Un senso di perdita che probabilmente c’è stato fin dall’inizio, un esilio dall’amore, dalla grazia, dalle cose felici.

È quel tipo di solitudine che non ha nulla a che fare con l’assenza di compagnia, piuttosto col non essere stati mai compresi fino in fondo, nemmeno da se stessi. Poiché chi è incapace di parlare di sé e con sé, si convince che tacere è un arte e non una vigliaccheria.

chi ho amato non mi ha mai preso sul serio.

Cesare Pavese

La morte del celebre autore e la sua lettera di addio scritta all’amante Romilda che lui chiamava “Pierina”,  potrà essere utile per sensibilizzare sul tema del suicidio.
Ancora oggi sono troppe le false credenze che avvolgono questo problema. Ed esse non fanno altro che ostacolare la prevenzione al suicidio.

Cosa si intende per suicidio?

Per suicidio si intende l’atto estremo attraverso il quale un individuo causa intenzionalmente, in risposta a situazioni di vita che reputa insormontabili, la propria morte.

Il tentativo di suicidio è il segnale di un disagio intenso.
Quando una persona arriva a compiere questo atto, significa che considera il suicidio l’unico modo per mettere fine a una sofferenza divenuta insopportabile. Alcuni segnali d’allarme possono permettere di riconoscere una situazione a rischio.
Esistono delle soluzioni.
Per questo è importante ascoltare, parlarne e cercare aiuto.

Il suicidio può avere molti significati

  • Può essere attuato per vendetta
  • Per indurre negli altri sensi di colpa
  • Può essere un estremo tentativo di farsi amare
  • Per riparare a colpe che il suicida ritiene di aver commesso
  • Può essere un modo per liberarsi da sentimenti percepiti come inaccettabili
  • Può derivare dal desiderio di ricongiungimento con una persona defunta
  • Per sfuggire al dolore
  • Per evitare il vuoto emozionale
  • Per liberare se stessi e gli altri di un immondo fardello

Le variabili psicologiche coinvolte nel suicidio differiscono indubbiamente da persona a persona.

La disperazione, più che ogni altro fattore, sembra essere associata al rischio di suicidio.
La disperazione è quando non si riesce a intravedere nessun’altra alternativa.

Le persone, di solito, sono ambigue riguardo le loro intenzioni suicide.
Come scrive Shneidman, noto psicologo statunitense esperto in suicidio:

La condizione tipica del suicida è uno stato in cui la persona può tagliarsi la gola e allo stesso tempo invocare aiuto, essendo profondamente sincera in entrambe le azioni.
Questi individui sarebbero ben felici di non suicidarsi, se non si sentissero costretti a farlo

L’80% di coloro che tenta il suicidio fallendo, racconta poi di essere contento di aver fallito oppure sperimenta sentimenti contrastanti (sollevati di aver scampato la morte ma tormentati dalla vita).
In entrambi i casi si tratta di un ottimo aggancio per il lavoro del terapeuta.

Psicoterapia e suicidio

La psicoterapia è senza ombra di dubbio la terapia d’elezione per il trattamento dei soggetti che hanno tentato il suicidio o che hanno pensieri o comportamenti suicidari.

I soggetti con una storia di tentativi di suicidio alle spalle necessitano di cure specialistiche e individualizzate a seconda della causa che li ha portati a mettere in atto un simile comportamento.
Nella fase acuta potrebbe essere necessario contemplare l’ipotesi di un trattamento in regime di ricovero, in modo da proteggere il paziente da se stesso e da eventuali altri tentativi di suicidio.

Alla terapia psicologica viene spesso affiancata una terapia farmacologia a base di farmaci psicotropi utili a stabilizzare lo stato psichico del paziente e a scongiurare un possibile altro tentativo di suicidio.

La non appartenenza, la convinzione di essere un peso per gli altri e lo scarso timore del dolore e della morte sono tra i principali sentimenti che potrebbero spingere a un atto estremo.

Lo psicoterapeuta potrebbe quindi intervenire sulle prime due convinzioni.

Oltre a ciò, è bene ricordare l’importanza dell’ambiente sociale nel determinare il suicidio di un soggetto e quindi, una volta compiuto l’assessment del rischio suicidario, si possono pensare, a fianco degli interventi terapeutici appropriati, interventi mirati sull’ambiente.

Alcuni esempi di tali interventi potrebbero essere:

  • il potenziamento della rete sociale per migliorare il senso di appartenenza alla comunità,
  • interventi familiari tesi a migliorare i rapporti tra i parenti (ad es., nel caso un’eventuale situazione economica difficile, relativizzare la responsabilità imputata al paziente).

In generale si potrebbe applicare anche a questa categoria di atti impulsivi o premeditati ciò che già si impiega nel trattamento delle dipendenze.

Suicidi in Italia

Le statistiche riportano dati preoccupanti.
Negli USA, il tasso di suicidio è circa di 1 su 10.000 abitanti per anno. A livello Mondiale circa il 9% della popolazione riferisce di aver avuto idee suicide e il 2,5% di aver compiuto almeno un tentativo di suicidio.

Secondo i dati ISTAT, in Italia i tassi di suicidio sono fortemente variabile da regione a regione.
La regione con il numero più basso di suicidi è stata la Campania con 2,6 suicidi per 100.000 abitanti mentre le regioni con il più elevato tasso di suicidi sono il Friuli Venezia Giulia (9,8 per 100.000 abitanti) e il Trentino Alto Adige (8,7 su 100.000 abitanti). La media nazionale è di 5,6 su 100.000.

False idee e luoghi comuni da sfatare

Le false idee sul suicidio circolano ampiamente ancora ai giorni nostri e questo fa sì che ci sia la necessità di accendere un faro sul tema che attiri l’attenzione  dell’intera società.

 Ecco alcuni luoghi comuni da sfatare.

  • Parlare di suicidio incrementa il rischio di condotte suicide: falso. Parlare è utile, allevia il senso di oppressione.
  • Le persone che parlano di suicidio poi non lo mettono in atto: come ha dimostrato Cesare Pavese, che più volte nei suoi scritti ha parlato apertamente di morte e di suicidio, non è affatto vero che manifestare la volontà di togliersi la vita equivalga a non volerlo fare davvero.
  • Il suicidio viene attuato senza preavviso: purtroppo i segnali sono deboli da cogliere, ma ci sono. La persona che intende suicidarsi lo lascia capire in diversi modi. Affermazioni sul senso della vita, regali inaspettati e inspiegabili, depressione, disinteresse per le cose alle quali prima teneva…
  • La persona che si suicida vuole morire: nulla di più falso. Come premesso, vi sono sentimenti ambivalenti sulla volontà di morte. La maggior parte delle persone a cui si impedisce il suicidio, dimostra una poi una grande gratitudine.
  • Le persone che tentano il suicidio con mezzi poco letali non hanno realmente intenzione di uccidersi: il suicidio è spesso un atto impulsivo, non tutti hanno la possibilità di una premeditazione. In più non tutti conoscono bene l’anatomia umana. Anche chi ha realmente intenzione di togliersi la vita può compiere dei tentativi dall’esito non fatale.

“PERDONO TUTTO E A TUTTI CHIEDO, PERDONO…VA BENE?…”

Il messaggio di addio di Cesare Pavese

Perché Cesare Pavese si tolse la vita?

Le cronache dei giorni seguenti la definiscono ”una crisi di depressione nervosa, di cui non si conosceranno mai (com’è giusto, come egli stesso ha voluto) le cause che hanno indotto lo scrittore al suicidio. In molti però, hanno trovato una spiegazione psicanalitica: l’infanzia di Pavese, dopo la scomparsa del padre, è stata sicuramente segnata dalla presenza della madre, una donna rigida e severa. Da qui, il senso di vuoto emozionale incolmabile dello scrittore.”

Tutti erano legati a lui da un affetto profondo, più spesso inespresso che dichiarato, tanto Pavese era di temperamento chiuso e schivo, come lo definì Natalia Ginzburg, sua grande amica.

Più di ogni altra cosa però, Cesare Pavese, come tanti altri, si è suicidato  perché aveva un forte malessere e non ha avuto accesso a una soluzione.

La lettera integrale di Pavese alla sua amata

Cara Pierina,

Ma tu, per quanto inaridita e quasi cinica, non sei alla fine della candela come me. Tu sei giovane, incredibilmente giovane, sei quello che ero io a vent’otto anni quando, risoluto di uccidermi per non so che delusione, non lo feci – ero curioso dell’indomani, curioso di me stesso – la vita mi era parsa orribile ma trovavo ancora interessante me stesso.

Ora è l’inverso: so che la vita è stupenda ma che io ne sono tagliato fuori, per merito tutto mio, e che questa è una futile tragedia, come avere il diabete o il cancro dei fumatori.

Posso dirti, amore, che non mi sono mai svegliato con una donna mia al fianco, che chi ho amato non mi ha mai preso sul serio, e che ignoro lo sguardo di riconoscenza che una donna rivolge a un uomo?

E ricordarti che, per via del lavoro che ho fatto, ho avuto i nervi sempre tesi e la fantasia pronta e decisa, e il gusto delle confidenze altrui? E che sono al mondo da quarantadue anni? Non si può bruciare la candela dalle due parti – nel mio caso l’ho bruciata tutta da una parte sola e la cenere sono i libri che ho scritto.

Tutto questo te lo dico non per impietosirti – so che cosa vale la pietà, in questi casi – ma per chiarezza, perché tu non creda che quando avevo il broncio lo facessi per sport o per rendermi interessante.

Sono ormai aldilà della politica.

L’amore è come la grazia di Dio – l’astuzia non serve. Quanto a me, ti voglio bene, Pierina, ti voglio un falò di bene.

Chiamiamolo l’ultimo guizzo della candela.

Non so se ci vedremo ancora. Io lo vorrei – in fondo non voglio che questo – ma mi chiedo sovente che cosa ti consiglierei se fossi tuo fratello. Purtroppo non lo sono.

Amore.

Cesare

Pavese, il geniale autore de La luna e i falò e Il mestiere di vivere, è stato un uomo di immenso talento ed eguale fragilità, che il mestiere di vivere non lo ha mai imparato, ma ha perso tentando, come chissà quanti altri.

La solitudine si cura in un solo modo, andando verso la gente e donando invece di ricevere. Si tratta di un problema morale prima che sociale, bisogna imparare a lavorare, a esistere, non solo per sé ma anche per qualche altro, per gli altri. Finché uno dice “sono solo, “sono estraneo e sconosciuto”, “sento il gelo”, starà sempre peggio. È solo chi vuole esserlo. Per vivere una vita piena e ricca bisogna andare verso gli altri.
E questo è tutto.

Cesare Pavese

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